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La giovane Sheeta è tenuta prigioniera dal cinico colonnello Muska a bordo di un’aeronave diretta verso la fortezza Tedis. Durante il volo, in una notte rischiarata dalla luna, l’aeronave viene attaccata da una banda di pirati guidata dall’intrepida Dola, che vuole impossessarsi del ciondolo che la ragazzina porta al collo. Questo ha un valore inestimabile: permette di vincere la forza di gravità e localizzare la leggendaria isola fluttuante di Laputa, dove – si racconta – sono custoditi immensi tesori e un potere inimmaginabile.
Sheeta riesce però a fuggire, finendo tra le braccia di un giovane minatore di nome Pazu che, da quel momento, decide di proteggerla unendosi a lei nella ricerca dell’isola e dei suoi misteri.
Appassionato di volo e velivoli aerei sin dall’infanzia, Miyazaki ha disseminato in ogni sua opera questa sua passione, sia immaginando stravaganti mezzi di locomozione, tra cielo e terra (ma anche acquatici, come in Ponyo sulla scogliera), sia coinvolgendo in spericolate situazioni i suoi personaggi. Nel film Sheeta ci viene mostrata fin dalle prime sequenze in “discesa controllata”, grazie al pendaglio che porta al collo. Un oggetto antichissimo che non soltanto permette di fluttuare, ma consente di rintracciare l’Isola di Laputa. Ma non è finita qui: i titoli di testa ci mostrano macchine volanti espressamente disegnate dal regista, realizzate nello stile delle litografie come omaggio a un’archeologia fantastica a metà tra il futuribile e il retro che rimanda alle incisioni che illustravano proprio i romanzi di Jules Verne.
Siccome occorre volare per raggiungere la leggendaria Isola, per farlo il film è ricchissimo di dirigibili e corazzate volanti utilizzate dalle forze governative che appoggiano Muska. Anche i pirati di Ma Dola sono discretamente attrezzati: vivono nel dirigibile chiamato Tiger Moth, un gustoso e bizzarro omaggio al biplano inglese De Havilland Tiger Moth. Quando però sono coinvolti in azione, li vediamo alla guida di piccoli Flaptor, velivoli a due posti che volano sbattendo le ali come gli insetti.
Per ricreare le atmosfere e le location del film, Miyazaki ha compiuto, nel 1984, un viaggio nel Galles. Un periodo tormentato per la società inglese dell’epoca, tra chiusura di fabbriche, miniere e pozzi, scioperi dei lavoratori. E questo ha colpito molto il regista giapponese; soprattutto lo ha colpito la tenacia con la quale i sindacati si adoperavano per salvaguardare attività e posti di lavoro. Tutto questo è poi confluito nel tessuto narrativo de Il castello nel cielo, complici non soltanto i paesaggi meravigliosi ma anche il temperamento della comunità di minatori dipinta poi nel film. Lo sferragliare di treni a scartamento ridotto utilizzate dai minatori si incastona a meraviglia con l’oscurità dei pozzi, le maestose linee ferroviarie inchiodate al terreno e le tradizionali terraced houses che ospitavano le comunità dei minatori. Terreno di gioco, tra l’altro, dove ambientare una delle scene d’azione più spettacolari del film con l’inseguimento di Sheeta e Pazu da parte di Dola.
L’ambientazione de Il castello nel cielo è quella di un mondo immaginario, situato a cavallo tra XIX e XX secolo, tra la nostalgia del passato e l’inevitabile progresso dettato dalla rivoluzione industriale in atto. Per restare fedele al suo modo di fare cinema, Miyazaki ha voluto che il suo protagonista maschile fosse un giovane minatore con un passato da mettere in ordine e un presente da cavalier servente.
Il film pone l’accento sullo scetticismo del regista per la scienza e la tecnologia, proprio come in Conan e Nausicaä, e sull’uso che l’uomo ne fa in una gara continua per ottenere maggiore potere, portando con sé inevitabilmente violenza (sarà il caso di Mononoke), avidità e ingiustizia. L’ambientazione senza tempo de Il castello nel cielo è la summa perfetta di un mondo che Miyazaki vede scorrere tra archeologia e rivoluzione industriale, nostalgia per un passato lontano e innocente, e fiducia per un futuro di pace.