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Mami Sunada racconta perché ha girato Il Regno dei Sogni e della Follia

Manca poco all’arrivo nelle sale cinematografiche italiane dell’attesissimo documentario sullo Studio Ghibli intitolato “Il Regno dei Sogni e della Follia” (in orginale Yume to kyôki no ôkoku), diretto da Mami Sunada. Uscito nelle sale giapponesi nel novembre 2013, è stato presentato in anteprima mondiale in Francia nel giugno dello scorso anno al Festival International du Film d’Animation d’Annecy e successivamente in tanti altri festival in giro per il mondo.

In occasione della presentazione del documentario al Toronto International Film Festival, Mami Sunada è stata intervistata dal portale Film4.com, a cui ha rivelato: «There are many documentaries about Studio Ghibli that have been broadcast on television in Japan. So when Mr Suzuki makes a decision, the question he asks is ‘what new thing can be done?’ I thought that since this was a very unusual and memorable year, that both The Wind Rises and The Tale Of The Princess Kaguya were being made, then that’s what I would like to focus on in the documentary, the comparison between the two directors, their historical relationship, and how each one has his place in the studio».

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«Ci sono molti documentari sullo Studio Ghibli che sono stati trasmessi in televisione in Giappone. Così, quando il signor Suzuki (Toshio Suzuki, il produttore dello Studio Ghibli, ndr) ha preso la decisione, la domanda che ha posto è stata “Che si può fare di nuovo?” Ho pensato che dal momento che questo è stato un anno molto insolito e memorabile in cui erano stati realizzati sia “Si alza il vento” sia “La storia della Principessa Splendente”, allora era proprio questo che volevo al centro del documentario, il confronto tra i due registi, il loro rapporto storico, e come ognuno ha il suo posto nello studio».
Attraverso la parole della Sunada, voce narrante del documentario, scopriremo il modus operandi dei maestri e fondatori dello Studio, Hayao Miyazaki e Isao Takahata, ma anche di molte altre figure altrettanto importanti, tra cui il produttore Toshio Suzuki. Per 118 minuti tutti gli appassionati avranno la possibilità di sbirciare all’interno dell’edificio che ospita lo Studio Ghibli, di scoprirne i membri e gli strumenti utilizzati, per vedere, quindi, i lungometraggi attraverso gli occhi di coloro che vi hanno lavorato. Allo stesso tempo, però, anche i non-appassionati potranno apprezzare il ritratto di personalità come Miyazaki e Takahata, il loro impegno nella cura dei dettagli e la descrizione delle loro qualità e abitudini personali.

Il Regno dei Sogni e della Follia, proposto con un doppiaggio in oversound, cioè con la voce del doppiatore che si sovrappone all’audio originale, sarà proiettato solo il 25 e il 26 Maggio: scopri la lista delle sale aderenti e prenota subito il tuo biglietto!

Sul Patriottismo e l’emendamento Costituzionale: un’intervista con il regista Hayao Miyazaki

Questa intervista con il famoso animatore e regista Hayao Miyazaki fu pubblicata in origine sul mensile dello Studio Ghibli Neppu, in un inserto speciale riguardante l’emendamento costituzionale. Con un tono colloquiale, Miyazaki tratta una grande quantità di argomenti: racconta dell’esperienza della guerra sua e di suo padre, del suo mutevole rapporto con il Giappone, e approfondisce la politica e l’economia nipponica postbellica e le Forze di autodifesa. Inoltre, critica aspramente l’attuale governo guidato da Shinzo Abe, specialmente riguardo l’emendamento di riforma costituzionale.

Questo inserto della rivista Neppu ricevette una grandissima attenzione mediatica, ma le poche copie disponibili erano distribuite solo in pochissime librerie. L’editore così decise di pubblicare parzialmente l’intervista online. Il grande interesse per le opinioni di Miyazaki va cercato nella rarità delle sue pubblicazioni, dove il famoso animatore tratta apertamente le sue posizioni politiche. La traduzione presente è stata realizzata con la supervisione dello Studio Ghibli.

Originariamente pubblicato su Neppu, Luglio 2013
Tradotto in inglese da Asato Ikea, e in italiano da Alessandro Biti

Probabilmente sarei diventato un giovane patriota se fossi nato un po’ prima. Sono nato nel 1941, ma non ricordo quando la Costituzione nipponica fu redatta.(2) Quando ero un bambino, mi ripugnava(?) che il Giappone avesse combattuto una stupida guerra. Sentii, per sentito dire, alcune persone che raccontavano orgogliosamente le terribile cose che i militari giapponesi avevano fatto in Cina. Allo stesso tempo, mi raccontavano come la popolazione giapponese soffrisse sotto i bombardamenti aerei. Dopo aver sentito varie storie da molte persone, ho iniziato veramente ad odiare il Giappone, pensando di essere nato in un paese che faceva cose stupide.

La guerra finì quando avevo quattro anni, così la mia esperienza della guerra è molto diversa da quella di Takahata Isao (cofondatore dello Studio e maestro di Miyazaki Hayao), che è di sei anni più anziano di me, o dell’esperienza di mia moglie, che ha tre anni in più di me. Ancora però, ricordo un bombardamento aereo e la mia città bruciata. La sconfitta della guerra mi aveva umiliato. Dopo il conflitto, molti americani vennero in Giappone, e le persone si raggrupparono intorno a loro, guardandoli con curiosità. Ma io ero il tipo di bambino troppo timido per andare a chiedere una gomma da masticare o della cioccolata.
Ho letto molti libri di guerra. I libri che uscirono quando io ero un bambino narravano di come le persone si vergognassero di quello che fecero e di come la realtà della guerra sia molto diversa da quello che si pensava o si era portati a pensare. Persone di vari ambienti, non solo di chi era in prima linea a sparare, che non sono stati “eroi” durante la guerra, pubblicarono storie e rivelarono cose come l’inaffidabilità dei rada giapponesi e di come il conflitto stava fallendo, malgrado tutti gli sforzi e sacrifici.

John Lasseter and Hayao Miyazaki

Non c’erano buone notizie. Sentire storie, come quella di come alcuni marinai andarono alla deriva dopo essere sopravvissuti al naufragio della loro nave, ho pensato che fosse una guerra patetica, perfino da bambino. Anni più tardi, ho letto il romanzo di Robert Atkinson Westall “The machine gunners” (1975) e ho capito cosa intendesse. I protagonisti del romanzo sono ragazzi che in tempo di guerra sono indignati di come gli adulti tifino “Guerra! Guerra!” senza prendere il conflitto sul serio. Nel romanzo, la serietà è il confine stabilito dai protagonisti tra loro e il mondo che li circonda. Penso che Westall è più anziano di me (3), e morì quando aveva sessantatré anni.

Dopo aver letto il libro di Westall, ho capito la mia vera natura. Io sono il tipo di persona che diventa passionale e arriva a pensare che ci dovrebbe essere qualcosa più importante della mia sola vita e che dovrei sacrificarmi per esso. Se fossi nato un po’ prima, sarei probabilmente diventato un fervente patriota militare. Se fossi nato molto prima, sarei partito come volontario e sarei morto sul campo di battaglia. Penso che l’unico momento in cui realizzi veramente cosa sia la guerra è quando rischi di morire. Non so se questa è una fortuna o no, ma io ho una vista scarsa, così non sono potuto andare volontario per una missione suicida e probabilmente mi avrebbero chiesto di produrre fumetti e immagini di propaganda.

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La Città Incantata: la parola a Hayao Miyazaki

Tra due giorni tornerà finalmente al cinema l’attesissimo capolavoro d’animazione firmato Studio Ghibli, La Città Incantata.

Per tutti gli appassionati, ecco di seguito un’interessantissima intervista al maestro Hayao Miyazaki che svela qualche consiglio per capire più a fondo il film vincitore del premio Oscar.

La città incantata si svolge in una specie di stabilimento termale. E’ un’immagine della sua infanzia?

Assolutamente sì. Il punto di partenza del film è mostrare le divinità e gli spiriti che vanno alle terme, o “yuya” come si dice in giapponese, per rilassarsi. Ed è vero. Ho dei ricordi molto nitidi degli “yuyas” della mia infanzia. E’ stato proprio in uno di quei posti che ho visto per la prima volta un quadro occidentale. Da bambino, una volta ho anche notato una porticina che si trovava nell’area principale di uno “yuya”. Quella porticina e quello che avrebbe potuto nascondersi dietro, mi perseguitarono per diverse notti. Era da tempo che desideravo realizzare un film che esplorasse quel mistero. Ho reso il soggetto più interessante mettendo le divinità al centro della trama. Presumo che le divinità del folklore giapponese, proprio come gli uomini d’affari, abbiano bisogno di fortificarsi in acque calde prima di andare a lavorare. Naturalmente, gli dei desidererebbero rimanere a mollo più a lungo, ma sono costretti ad uscire quando si conclude il fine-settimana. Immagino che anche le divinità oggi siano molto indaffarate.

Da dove ha tratto l’ispirazione per descrivere le divinità con una tale ricchezza di dettagli?

In Giappone, da migliaia di anni, crediamo che i Kami (vale a dire gli dei) e i Rei (e cioè gli spiriti) siano ovunque: nei fiumi, in ogni singolo albero, in ogni casa e cucina. Quando ho concepito La città incantata, dovevo visualizzare tutti questi Kamis. Diciamo che in generale le raffigurazioni che vedrete nel film sono frutto della mia immaginazione, ma alcune sono state tratte dal folklore giapponese.

Il personaggio “senza volto” di La città incantata interpreta un ruolo molto particolare, vero?

Sì. Mi piaceva molto l’idea di questa divinità vagabonda che non ha nessun riferimento con la tradizione giapponese. Infatti, Kaonashi rappresenta il Giappone contemporaneo. Molti sono convinti che i soldi bastino ad assicurare la felicità. Ma Kaonashi riesce veramente a renderli felici regalandogli l’oro? La cosa che mi interessava di più era la reazione del pubblico davanti a questo quesito. Alcuni hanno pensato che “senza volto” fosse una madre, altri che fosse un padre. Ho ricevuto una lettera da un ragazzino nella quale mi diceva di essere molto triste perché “senza volto” non aveva un posto dove andare. Mi ha scritto di aver pianto di gioia quando Chihiro gli ha permesso di prendere il treno con lei.

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Il personaggio di Okusare-Sama (in giapponese, kusare vuol dire marcio) è un’allegoria dei fiumi inquinati che devono essere ripuliti?

Non spetta a me educare il pubblico all’ecologia e al rispetto dell’ambiente. Tuttavia, ho messo le mie esperienze personali in tutti i miei film ed è vero che contribuisco a pulire il fiume che scorre vicino a casa mia. Preferisco di gran lunga gli alberi al cemento ed è per questo che nei miei film mostro volentieri fiumi ed alberi. In ogni modo, così facendo non intendo insegnare niente a nessuno.

Le divinità Onama-Sama del suo film somigliano alle creature tratte dal Namahage, originarie della provincia di Oga, che terrorizzano i bambini di campagna una volta l’anno. E’ un caso che le abbia inserite nel suo film?

Sì e no. Conosco i mostri di cui parla ma la loro presenza nel film non ha nessun significato particolare.

La città incantata potrebbe essere considerato una specie di viaggio all’interno della Ghibli. Infatti il lungometraggio ha molti riferimenti visivi ai suoi vecchi film, e in alcune delle divinità è possibile riconoscere dei suoi collaboratori.

E’ esattamente così. Io per esempio m’identifico con Kamaji mentre Yubaba è il Signor Suzuki, il presidente della Ghibli. Il funzionamento e l’organizzazione del bagno termale sono in effetti molto simili a quelli della nostra società. Chihiro potrebbe essere considerata una giovane disegnatrice che è venuta a trovarci. Quando arriva, si imbatte in Yubaba che urla e impartisce ordini a tutti. Nel frattempo, Kamaji è costretto a lavorare moltissimo per obbedire agli ordini di Yubaba. Ha talmente tanto lavoro che non gli bastano più le braccia e le gambe per finirlo. Per quanto riguarda Chihiro, deve rendersi utile se non vuole che Yubaba la faccia sparire per sempre, vale dire la licenzi.

Più che due sorelle gemelle, Yubaba e Zeniba sono due aspetti della stessa persona, non è vero?

Yubaba rappresenta la persona che lavora e Zeniba è la sua versione domestica. Tutti noi conosciamo delle persone che sono molto aggressive sul lavoro, ma che quando rientrano a casa sono molto più miti e gentili.

In quasi tutti i suoi film c’è una presenza religiosa, animistica, che si percepisce sotto la superficie.

In Giappone la religione è una questione culturale piuttosto che un qualcosa che attrae necessariamente dei seguaci. La religione, che si tratti del Buddismo o dello Shintoismo, è onnipresente anche se la sua presenza non si fa mai sentire in maniera esagerata o schiacciante. I simboli religiosi sono disseminati ovunque, proprio come nei miei film, ma in maniera discreta. Sono la testimonianza di una tradizione e di una realtà. Devono essere stati gli agricoltori ad aver favorito i culti naturalisti che sono ormai parte integrante della religione giapponese. Il legame con la natura è un elemento essenziale dell’anima giapponese.

Qual è stata la sfida maggiore che ha dovuto affrontare in La città incantata?

Quando ho finito di leggere la sceneggiatura, ho capito che ne sarebbe venuto fuori un film di tre ore. Naturalmente Suzuki mi ha detto subito che non avevamo i soldi per terminare il progetto in tempo se volevamo che uscisse nell’estate del 2001. A quel punto la scelta era tra accorciare il copione o spostare l’uscita del film al 2002. Io ero convinto che il film rispecchiasse fedelmente la condizione mentale della nostra epoca e temevo che nel 2002 le cose sarebbero cambiate a tal punto da far sembrare le mie idee già datate. Adattare la storia per avere un film più breve è stata la cosa più difficile.

Per la prima volta nella sua carriera, ha collaborato con una società straniera per poter rispettare i tempi di uscita del film. Che mi dice di questa esperienza?

Abbiamo fatto una ricerca e ci siamo resi conti che se avessimo lavorato contando solo ed esclusivamente sulle risorse disponibili nel nostro paese, non avremmo rispettato i termini. A quel punto abbiamo preso contatto con la D.R. Digital in Corea per affidargli la realizzazione di alcuni intervalli e della colorazione digitale di alcune parti. Pur conoscendo l’ottima reputazione della D.R., eravamo un po’ in ansia ma abbiamo dovuto ricrederci perché lo staff coreano si è dimostrato estremamente competente. Hanno lavorato molto bene e molto velocemente. Non avrei nessuna esitazione a collaborare nuovamente con loro in futuro.

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La città incantata è uno dei maggiori successi della storia del cinema giapponese. Ne è orgoglioso?

Non ne farei una questione di orgoglio perché qualunque sia il risultato di un film – successo o completo fallimento – io lo accetto, lo valuto e me ne servo per crescere e migliorare. Detto ciò, è evidente che sono sempre felice quando un film incassa più di quanto è costato, perché questo ci permette di pensare già ad un altro film da realizzare con meno vincoli e limitazioni economici.

La Città incantata sarà nelle sale esclusivamente il 25, 26 e 27 giugno. Affrettatevi a prenotate subito il vostro biglietto cliccando sul banner seguente.

Hayao Miyazaki parla del suo ritiro e di “Si alza il vento”

La notizia del ritiro di Hayao Miyaziaki lo scorso settembre ha, senza dubbio, deluso i numerosi ammiratori del Maestro dell’animazione giapponese. In una recente intervista, Miyazaki dà ulteriori spiegazioni a riguardo.

In una recente intervista con Indiewire, Hayao Miyazaki ha parlato del suo ultimo film “Si alza il vento” e ha confermato il suo ritiro dalla scena d’animazione.

Quando ha deciso di fare questo film, già sapeva che sarebbe stato il suo ultimo film?
Hayao Miyazaki: No, quando è iniziata la produzione non pensavo sarebbe stato il mio ultimo film. Solo dopo aver completato il film, ho pensato di renderlo il mio ultimo film. Ovviamente abbiamo ancora diverse idee in cantiere, ma ci vorrà del tempo, quindi non è molto realistico al momento e non mi rimane molto tempo. Quindi…

Quindi non farà più un altro film?
HM: No, probabilmente no.

Questo film è stata una vera partenza per lei, di solito concentra i suoi film in un periodo di tempo breve, e con una giovane eroina, come mai questo cambiamento nel suo approccio alla storia del film?
HM: Ad essere onesto, all’epoca avevamo solo questo progetto in cantiere. L’originale, la prima idea mi è venuta da un manga che avevo disegnato per hobby. Tutti i personaggi del manga, tutti gli uomini avevano la faccia di un cinghiale o un maiale. Poi il produttore mi ha detto ‘perché non ne fai un film?’. E io ho risposto ‘no, non è possibile.’ In seguito, la conversazione è andata avanti e abbiamo scoperto di poterne fare un film.
Ero molto ansioso del fatto che non sarebbe stato un film per bambini. Ma uno dei membri dello studio ha detto che anche se i bambini non avrebbero capito quello che stavano guardando, un giorno ci sarebbero riusciti. Quando abbiamo cominciato a sviluppare questo progetto come un film, è stato come scavarci la fossa da soli. Fortunatamente il risultato è stato buono, ma lavoravamo con quella sensazione.

Si identifica con il giovane ingegnere del film? In quanto artista, parlava per conto suo?
HM: La somiglianza potrebbe essere che quando lavoriamo sodo su qualcosa, ci concentriamo solo su quello, sono fatto così. Il protagonista è un misto dell’ingegnere Jiro Horokoshi e dell’autore Hori Tatsuo, che ha vissuto in quel periodo quando i miei genitori vivevano in Giappone. Sono entrambi delle persone molto tranquille e sincere.

Sta celebrando il tipo di innovazione e libertà creativa che ha praticato nella realizzazione di questo film?
HM: Beh, lo mio stile di vita non è intelligente come quello del protagonista. Forse ci somigliamo quando fumiamo.

Quando realizza un film, pensa al pubblico fuori dal Giappone o i suoi film sono prima di tutto per il Giappone?
HM: Quando faccio un film solitamente penso a una o due persone che mi sono vicine. Per ‘Si alza il vento’ pensavo ad un ragazzo. Non posso dirti chi, perché nemmeno lui sa che ho fatto questo film per lui. Ma dopo averlo visto ha detto che gli è piaciuto molto. Ha 14 anni.

In termini di animazione, c’è qualcosa che per lei è stato difficile da realizzare?
HM: Innanzitutto, ricreare l’atmosfera di quel periodo, la storia del Giappone. Avevamo paura questo tipo di tema non sarebbe stato adatto per un film d’animazione. La sfida maggiore è stata disegnare le scene con molte persone, dovevamo rispettare ogni singola persone che appariva sullo schermo.

Si aspettava le controversie e le obiezioni nei confronti del film in Giappone?
HM: Sapevo che ci sarebbero state delle critiche, e che alcune persone sarebbero state contrarie a questi protagonisti, ingegneri che realizzavano aerei da guerra. Ma sono sorpreso e grato alle persone degli Stati Uniti. Un tempo abbiamo combattuto la seconda guerra mondiale, ma gli americani hanno generosamente accettato il film.

Vero. Cosa ne pensa del supporto che John Lasseter e la Disney hanno dato ai suoi film nel corso degli anni? Hanno deciso subito di distribuire questo film non per famiglie?
HM: Dopo aver visto ‘Si alza il vento’ John Lasseter ha detto che gli ricordava “Il Dottor Zivago”. Anche io avevo pensato la stessa cosa durante la produzione, quindi è stato divertente vederlo fare questo paragone.

Chi ammira tra gli animatori degli altri paesi?
HM: Ovviamente John Lasseter, gli voglio davvero bene, oltre che provare rispetto. Anche Nick Park degli Aardam studios nel Regno Unito. Poi Frederic Back e Yuriy Norshteyn.

Quanto sarà coinvolto nella supervisione di Studio Ghibli?
HM: Sono abbastanza separato da tutto ciò che succede allo studio, cerco sempre di distaccarmi. Penso che il nostro rapporto continuerà ad essere lo stesso, quando avrò del tempo libero ci andrò. Se avrò qualcosa da fare allo studio, ci farò un salto. E se hai la possibilità di venirci a trovare, ti offrirò del caffè.

Verrò! Sta ancora scrivendo film?
HM: In realtà sto lavorando molto ad un progetto espositivo al Museo Ghibli.

Allora verrò anche al Museo Ghibli.

Presentato in concorso alla 70° Mostra del Cinema di Venezia, “The Wind Rises” è il nuovo capolavoro del noto fumettista e regista giapponese Hayao Miyazaki, che nel 2003 si aggiudicò l’Oscar per il miglior lungometraggio d’animazione con La città incantata, e nel 2005 ricevette il Leone d’Oro alla carriera.

Il film racconta la vita e la tragica storia d’amore di Jirō Horikoshi, l’ingegnere aeronautico che durante il secondo conflitto mondiale progettò numerosi aerei da combattimento utilizzati dai giapponesi nelle azioni di guerra contro gli americani, tra i quali il Mitsubishi A6M, utilizzato nell’attacco di Pearl Harbor.